sabato 29 dicembre 2007

Il popolo Tolupan continua a lottare per la propria terra

A luglio ho pubblicato un post in cui parlavo di Magdalena Pérez Vieda e del suo impegno per la comunità dei Tolupan, popolo indigeno dell'Honduras minacciato dall'esproprio forzato delle proprie terre da parte di grandi allevatori canadesi che occupano il territorio per usi che non tutelano la sopravvivenza dei popoli indigeni. Ebbene è arrivato un aggiornamento su questa situazione problematica. E subito si trova una importante novità positiva, costituita dal fatto che i Tolupan minacciati nella zona della Montagna de la flor, stanno tentando ancora una volta di rimettersi insieme a coltivare mais e fagioli, quello cioé di cui hanno bisogno per vivere. Il primo tentativo era stato fatto nell'aprile scorso, sotto la guida del figlio maggiore di Magdalena, Bladimir Pérez, che aveva aiutato i Tolupan a trovare il coraggio e l'organizzazione necessari per affrontare la stagione della semina. Purtroppo a quel tentativo era seguito l'attentato allo stesso Bladimir, e con esso anche i tentativi di autoorganizzazione sembravano andare in fumo. Ma da un mese a questa parte, nuovamente periodo di semina in Honduras, grazie al coordinamento di Bladimir e al coinvolgimento della Fetrixy, la federazione delle tribù Tolupan della zona di Yioro, si è organizato un gruppo di 300 uomini delle tre tribu Candelaria, la tribù di Magdalena, Bolsita e Palmaria. Il gruppo farà base nella casa della famiglia Pérez e coltiverà mais e fagioli sfidando le pressioni e le minacce degli allevatori. A sostegno di questa lotta, dall'Italia è stato inviato un contributo di 200 euro per sostenere le spese dei materiali da lavoro (dalle zappe alle amache) e delle sementi ed il loro trasporto alla comunità. Nel frattempo si attendono nuove notizie anche dalla Fetrixy, che si ritrovava proprio in questo mese per il suo congresso annuale, e da Alba, un'italiana che lavora in honduras nel COPINH, un'organizzazione honduregna del popolo Lenca, e che sta cercando di recarsi personalmente nella comunità di Magdalena, di incontrarne il figlio e di parlare in merito a possibili nuove piste di lavoro. Speriamo che i Tolupan mandino presto altre buone notizie. Per chi è interessato ad approfondire la situazione dei Tolupan o a dare un suo contributo, è possibile scrivere all'email davide.dotta@libero.it.

sabato 22 dicembre 2007

Dom Flavio Cappio e la gente del Nordest brasiliano lotta per salvare il Rio Sao Francisco

Il fiume Sao Francisco, con i suoi 2700 km di lunghezza, è il terzo corso d’acqua del Brasile, e con la sua acqua garantisce la sopravvivenza di 15 milioni di persone che vivono in 5 differenti stati del Nordest brasiliano. Secondo un progetto appoggiato dal governo brasiliano, questo fiume dovrebbe a breve essere deviato in una rete di 720 km di canali, che andranno ad irrigare laghi artificiali, riserve d’acqua e fiumi in una regione colpita da una cronica siccità. Le acque che saranno deviate nei canali serviranno per il 70% all’irrigazione di grandi coltivazioni e allevamenti di gamberi, per il 26% ad uso industriale e solo il 4% a beneficio delle popolazioni delle aree rurali e urbane locali. Contro questo progetto fin dal 2005 s'è mobilitata la popolazione delle regioni bagnate dal rio Sao Francisco, guidata nella sua protesta dal francescano Dom Flavio Cappio, vescovo di Barra. La deviazione del rio Sao Francisco comporterebbe infatti una forte diminuzione dell'acqua utilizzabile per dissetare la popolazione del luogo e un duro colpo alla biodiversità della regione. Cosi il vescovo di Barra, già nel 2005, aveva intrapreso un digiuno di protesta e di preghiera che è stato ripreso proprio nelle scorse settimane per impedire l'inizio dei lavori. Purtroppo in settimana è arrivata la notizia della sentenza con cui il Supremo tribunale federale ha autorizzato la ripresa dei lavori del progetto di deviazione del fiume. Dopo aver appreso la notizia Dom Flavio Cappio ha avuto un mancamento, in seguito al quale è stato ricoverato in ospedale e costretto a chiudere il digiuno. Ma in una sua lettera egli ha dichiarato: "Chiudo il mio digiuno, ma non la mia battaglia... in questo grande movimento... abbiamo vissuto un momento senza pari di intensa comunione ed esercizio di solidarietà... Vogliamo ampliare il dibattito, diffondere informazioni vere, far conoscere la nostra mobilitazione". (fonti: Misna e Incrocinews)

sabato 8 dicembre 2007

Suor Raquel, la suora dei giovani detenuti di Kamiti, in Kenya.

Caparbietà, ostinazione e speranza. Queste le doti di Suor Raquel, una suora che dal 2000 assiste e aiuta i detenuti dello Youth Correctional Training Centre (YCTC), il carcere minorile di Kamiti, alla periferia di Nairobi, in Kenya. In questo carcere vengono reclusi i ragazzi dai 14 ai 21 anni che hanno commesso il primo crimine di bassa entità. A questi ragazzi Suor Raquel offre il suo aiuto per farli crescere e aiutarli a sconfiggere i fantasmi del loro passato criminale. Tutti i ragazzi ospitati nello YCTC rimangono lì 4 mesi e poi escono per rifarsi una vita. Ma tanti ragazzi che uscivano confidavano a Suor Raquel la loro paura e la loro preoccupazione per il loro "ritorno alla realtà", in quanto spesso questo per loro significava rischiare di finire per strada, essere maltrattati dalla gente del quartiere o ritornare a delinquere per finire in un carcere di massima sicurezza. Ed ecco allora il sorgere di un sogno nel cuore di Suor Raquel: costruire una casa per accogliere gli ex detenuti e per aiutarli a reinserirsi, in modo adeguato e con un nuovo ruolo, nella vita della società. Nel 2004, durante un convegno all'Istituto dove s'era preparata al servizio nel carcere, l'Istituto di Social Ministry, Suor Raquel presentò il suo sogno e trovò qualcuno che raccolse il suo appello. Cosi quell'idea nata dall'esperienza del carcere si trasformò presto in un progetto. La conferenza episcopale del Kenya donò un terreno dove costruire la casa e la Caritas Italiana mandò i primi fondi per la costruzione. Cosi il 1° aprile 2006 venne inaugurato il Saint Joseph Cafasso Consolation House, dove entrarono 10 ragazzi ex detenuti. Fino a oggi 15 ragazzi hanno potuto vivere l'esperienza rieducativa del centro di Suor Raquel, ma ancora in tanti vorrebbero viverla se ci fosse spazio per loro. Per questo Suor Raquel, con l'aiuto della Caritas, sta coltivando un altro sogno, ampliare la struttura per poter accogliere ancora più ragazzi e aiutarli a ricostruirsi una nuova vita. Per chi volesse contribuire, è possibile andare sul sito della Caritas.

sabato 1 dicembre 2007

Nel quartiere Nueva vida di Ciudad Sandino in Nicaragua un progetto per aiutare donne e bambini

Nel quartiere Nueva vida di Ciudad Sandino in Nicaragua, l'associazione Redes de Solidaridad sta da tempo portando avanti, anche grazie al sostegno della Caritas Ambrosiana, un progetto chiamato Promozione della sicurezza alimentare, salute, allattamento materno, e della formazione delle madri gestanti, a favore di donne, neonati e bambini. Le attività portate avanti stanno migliorando le condizioni di vita di giovani incinte, madri e bambini di diverse età, che altrimenti vivrebbero in condizioni più critiche di denutrizione ed emarginazione. In 6 mesi sono state rese possibile visite mediche, con relativi esami clicnici, per 21 gestanti e 6 neonati, con una piccola compartecipazione economica ove possibile, per valorizzare l'importanza della salute materna anziché suggerire un'idea di assistenza totalmente esterna e accessoria. A 28 bambini sono stati garantiti 3.762 dosi di latte e vitamine da aggiungere a complemento del latte materno. Ogni giorno si distribuiscono bicchieri di latte a 280 bambini circa, e viene gestita una mensa che cerca di assicurare razioni giornaliere equivalenti ad una colazione e ad un pranzo equilibrato. Oltre al sostegno in termini di nutrizione e cure mediche, il progetto prevede anche un percorso formativo sulle tematiche di maternità e igiene. Sono stati infatti organizzati finora 18 laboratori per gruppi di 15 donne ciascuno, di formazione e sensibilizzazione sui temi diversi quali allattamento materno, igiene e nutrizione, pronto soccorso, maltrattamento e violenza domestica, pianificazione famigliare. Tutte queste attività hanno contribuito a generare un senso di collettività più forte e un aumento dell'autostima nelle donne, ed ha favorito il sorgere di piccole attività commerciali gestite proprio dalle donne, alla ricerca di una sempre maggiore autonomia e di un ruolo di responsabilità nella vita comunitaria.