giovedì 18 novembre 2010

La battaglia dei popoli indigeni della valle dell'Omo contro la diga che li minaccia

Il fiume Omo è un fiume etiope che corre per più di 700 km nell'area meridionale del paese, partendo dai circa 2.500 metri di altezza delle sue sorgenti sugli altopiani etiopi per arrivare ai circa 500 metri di altezza del fiume Turkana, dove il fiume sfocia, al confine con il Kenya. Lungo questo fiume vivono diverse comunità di popoli indigeni, per un totale di circa 200.000 persone. Alcuni di questi popoli vivono proprio lungo il fiume, come i Bodi (Me’en), i Daasanach, i Kara (o Karo), i Kwegu (o Muguji), i Mursi e i Nyangato, altri, come gli Hamar, i Chai e i Turkana, vivono un poco più distante. Tutte queste comunità, e in modo particolare quelle che abitano le sponde dell'Omo hanno un modello di sussistenza che si basa sulle esondazioni periodiche del fiume Omo, che, riversando le sue acque e il suo humus sulle terre circostanti, rende queste fertili e coltivabili; grazie a queste esondazioni questi popoli etiopi possono coltivare sorgo, mais e fagioli, a cui si aggiungono e si alternano le coltivazioni a rotazione nelle foreste pluviali e la pastorizia nelle savane o nei pascoli, generati sempre dalle esondazioni. Nell'area del fiume Omo sono state create due parchi naturali nazionali e il suo bacino rientra nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità dell’Unesco per la sua importanza geologica e archeologica. Nonostante tutto questo, dal 2006 l'azienda energetica etiope, la EEPCo, e la società italiana Salini Costruttori, in accordo con il governo etiope, ha iniziato la costruzione di una grossa diga, che dovrebbe raggiungere i 240 metri d'altezza, nella zona settentrionale del fiume. La diga, denominata Gibe III, potrebbe, secondo quando sostiene Survival, l'associazione che si batte in difesa dei popoli indigeni, determinare una drastica riduzione della portata del fiume Omo e interrompere il ciclo naturale delle sue esondazioni. Di conseguenza le economie di sussistenza dei popoli indigeni della valle dell'Omo rischiano di collassare, e sarebbe seriamente compromessa la sicurezza alimentare di almeno 100.000 persone. Oltre ai danni per le popolazioni indigene della valle dell'Omo, la diga Gibe III potrebbe anche compromettere seriamente la capacità di sostentamento dei popoli che vivono in riva al lago Turkana, come i Turkana e i Rendille, in quanto il livello delle sue acque potrebbe scendere drasticamente a causa della diminuzione della portata del fiume Omo, che con le sue acque porta il 90% dell'acqua che si trova nel lago Turkana. Oltre a ciò, sembra che l'appalto per il progetto della diga sia stato dato in violazione della legge etiope, in quanto sarebbe stato assegnato senza regolare gara d'appalto, e non sarebbero state realizzate preventivamente le necessarie valutazioni di impatto ambientale e sociale del progetto, cosa che invece sarebbe stata fatta, con forti dubbi sulla loro oggettività, a lavori già iniziati da un'agenzia milanese; il tutto senza consultare le popolazioni indigene, come invece sembra che la legislazione etiope richiederebbe. Il progetto della diga Gibe III, arrivato a un terzo dei suoi lavori, ora aspetta i finanziamenti per andare avanti, finanziamenti che potrebbero arrivare anche dal governo italiano, oltre che da una banca cinese, mentre la Banca Europea per gli Investimenti (BEI), che inzialmente doveva erogare un credito per la realizzazione del progetto, ora ha rinunciato a finanziare la diga, dopo le proteste internazionali e la presa di coscienza dei pericoli relativi alla sicurezza alimentare dei popoli indigeni della valle dell'Omo derivanti dal progetto della diga. Sul sito di Survival, è possibile rimanere aggiornati sulla situazione, raccogliere altre informazioni sul progetto e, soprattutto, sui popoli indigeni della valle dell'Omo, e si può partecipare all'azione di difesa di questi popoli firmando la petizione internazionale promossa dall'associazione, insieme anche ad altre associazioni, spedendo una lettera al Ministro degli Esteri italiano per chiedere di negare i finanziamenti per la diga, almeno fino a quando non verranno fatti studi più approfonditi sull'impatto ambientale, sociale ed economico del progetto sulle popolazioni indigene, o facendo una donazione.

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