giovedì 30 luglio 2009

Niente più aiuti internazionali allo sviluppo per un vero sviluppo dell'Africa?

Nel suo saggio "Dead aid: why aid is not working and how there is a better way for Africa" ("Aiuto morto: perché l’aiuto non funziona, una migliore soluzione possibile per l’Africa"), l'economista Dambisa Moyo, nata e cresciuta in Zambia, e che ha studiato ad Oxford e Harvard prima di lavorare in World Bank, Goldman Sachs, Lundin Petroleum e SAB Miller, argomenta la sua tesi: l'aiuto allo sviluppo dato dai paesi più ricchi ai paesi africani cosi come è articolato oggi non funziona, e, anzi, ha contribuito ad aumentare la povertà in molti stati africani. Prendendo in esame i dati economici degli ultimi 50 anni, Dambisa Moyo dimostra come i paesi africani abbiano ricevuto, in mezzo secolo, più di 1.000 miliardi di dollari di aiuti (una cifra che oggi rappresenterebbe il 15% circa del Pil dell'Africa), e il loro livello di povertà non è diminuito. Anzi, nel periodo di maggior aiuto estero, tra il 1970 e il 1998, la povertà in Africa è aumentata dall'11% al 66%. Gli aiuti cosi come sono organizzati oggi, secondo l'economista di origine zambiana, non solo non contribuiscono a diminuire la povertà degli africani, ma alimentano dinamiche negative che danneggiano il popolo dell'Africa, in quanto spezzano sul nascere ogni slancio o idea di riforma, reprimono la capacità degli africani di creare ricchezza nazionale e esportarla, promuovono la corruzione, le guerre e il mantenimento di regimi non democratici, e creano una sorta di dipendenza sempre crescente dagli aiuti che vengono dall'estero, rendendo sempre più difficile il poterne fare a meno. Secondo la Moyo una nuova strada per un vero sviluppo dell'Africa va cercata in una maggiore apertura dell'Africa al commercio mondiale, nella fine delle sovvenzioni americane e europee ai loro produttori, e in una costruzione di situazioni politiche e giuridiche più stabili e più democratiche nei vari paesi dell'Africa. Per chi volesse avere ulteriori informazioni su Dambisa Moyo, sul suo libro e le sue idee, questo è il suo sito personale.

giovedì 23 luglio 2009

I Tolupan chiedono alle autorità dell'Honduras il rispetto dei loro diritti

Nuova importante iniziativa dei Tolupan dell'Honduras nel cammino di lotta nonviolenta per il rispetto dei loro diritti. Il mese scorso è stata infatti inviata una lettera di denuncia alle autorità politiche dell'Honduras. In questa lettera vengono segnalate le ripetute violazioni dei diritti umani del popolo Tolupan Xicaque, e vengono ricordate le sofferenze che ha dovuto subire Maria Magdalena Perez Vieda, leader in esilio del movimento di difesa dei diritti dei Tolupan, che ha già perso 10 familiari, assassinati per intimidare lei e tutto il suo popolo, e che ha visto parenti picchiati o minacciati. Nella lettera altresì viene ribadito che a Maria Magdalena lo Stato italiano ha riconosciuto lo status di rifugiato politico dopo aver constatato che le sue denunce erano tutte vere. Tre le richieste del popolo Tolupan alle autorità dell'Honduras: ricercare, perseguire e processare coloro che si sono resi responsabili di atti di violenza contro persone della comunità dei Tolupan Xicaque, proteggere tutti i familiari di Maria Magdalena Perez Vieda, e attivarsi per trovare una soluzione pacifica che permetta al popolo Tolupan di vivere e lavorare nella propria terra in pace e con dignità, senza più dover essere soggetto a continue violenze e minacce. E' possibile sottoscrivere questo appello dei Tolupan mandando un'email a d.daniel@freeinternet.it, specificando il proprio nome, il proprio cognome e propria città. Per chi volesse sostenere anche economicamente la lotta del popolo Tolupan, è possibile mettersi in contatto con l'associazione Granello di Senape, che collabora con il Comitato di solidarietà con il popolo Tolupan.

giovedì 16 luglio 2009

Quale futuro per i Sahrawi e per il Sahara occidentale?

I Sahrawi, che letteralmente significa "gente del deserto", sono un popolo che discende da schiavi africani, beduini arabi e berberi del Sanhanja. Con una tradizione da nomadi, i Sahrawi per secoli sono stati gli abitanti di quella regione africana chiamata Sahara Occidentale, una terra occupata nel secolo scorso dai colonizzatori spagnoli, e successivamente, dopo la partenza degli spagnoli nel 1975, passata sotto l'autorità del Regno di Marocco. Purtroppo, il passaggio della regione dall'autorità spagnola a quella marocchina provocò l'esodo di centinaia di migliaia di Sahrawi, costretti dall'esercito marocchino ad andare a vivere in esilio in campi profughi in una striscia di deserto appena fuori dal Sahara Occidentale, in Algeria. Sebbene vi siano Sahwari che oggi vivono ancora nel Sahara Occidentale, o che sono emigrati definitivamente in altri paesi come Algeria, Mauritania e altri ancora, più di 200.000 Sahrawi vivono da più di 30 anni nei campi profughi algerini e non possono fare ritorno nella loro terra perché respinti dall'esercito marocchino e da un muro lungo quasi due volte l'Italia fatto costruire per impedire il loro ritorno al confine tra Algeria e Sahara Occidentale. Nei campi profughi le condizioni di vita sono precarie, tra malnutrizione, carenza di strutture sanitarie adeguate e impossibilità di impostare attività economiche che possano garantire ai Sahrawi un futuro di autonomia e di dignità. Nel 1976 questo popolo si costituì in Repubblica Araba Sahariana Democratica (R.A.S.D.) per rivendicare il proprio diritto a ritornare in possesso della loro terra originaria, il Sahara Occidentale appunto, ma fino a oggi non ci sono ancora riusciti. Dopo anni di scontri armati tra l'esercito marocchino e il Polisario, il fronte militare del popolo Sahrawi, nel 1991 s'è arrivati a un cessate il fuoco che ha posto fine agli scontri armati, ma che non ha ancora portato a un riconoscimento dei diritti dei Sahrawi. Da allora essi cercano attraverso vie politiche e diplomatiche di farsi riconoscere dalla comunità internazionale il proprio diritto all'autodeterminazione e chiedono al governo marocchino un referendum per ottenere l'indipendenza del Sahara Occidentale e fare cosi ritorno alla loro terra originaria, ma il governo marocchino fino ad oggi ha negato l'indipendenza, anche se, almeno a parole, sembra disponibile a trattare una forma di autonomia. Ricchi giacimenti di fosfati, ma anche di altre materie prime importanti, sono uno degli elementi più importanti che spiegano la volontà del governo marocchino di continuare a mantenere un certo controllo su questa regione. Anche in questi giorni, a Vienna, dovrebbero tenersi dei colloqui informali tra i rappresentanti della R.A.S.D. e alcuni esponenti del governo marocchino, nella speranza che si possa presto arrivare a una conclusione pacifica e condivisa di questa contesa storica. Tra l'altro sia in Italia che in altri paesi, ogni anno vengono accolti alcuni bambini sahrawi per alcuni giorni, un modo per assicurare a questi bambini, almeno una volta all'anno, un'alimentazione sana e corretta, visite mediche adeguate, e per educarli a conoscere il mondo che sta fuori ai campi profughi, un modo per diventare sempre più consapevoli dei loro diritti. Inoltre annualmente, decine di volontari, anche italiani, organizzano delle attività formative e ricreative, soprattutto per i bambini, nei campi profughi. Tutte queste attività a favore del popolo Sahrawi sono anche frutto del fatto che l'educazione è al centro della cultura del popolo Sahrawi, che, più che aiuti materiali che rischiano talvolta di essere assistenzialistici, vorrebbe garantire a se stesso, e soprattutto ai suoi bambini, salute e formazione, per potersi costruire in autonomia e con le sue forze un futuro migliore. Per avere ulteriori informazioni sul popolo Sahrawi e sul Sahara Occidentale, è possibile visitare il sito dell'ASVDH (Sahwari Association of Victims of grave Human Right Violations), il sito Spsrasd.info, del Sahara Press Service, il sito della nuova TV della R.A.S.D., il sito Sahrawi.org, dell'Associazione El Ouali per la Libertà del Sahara Occidentale, e il sito Sahrawi.it.

giovedì 9 luglio 2009

A Kindu arriva anche l'acqua

Da anni a Kindu, il capoluogo della provincia del Maniema, nella Repubblica Democratica del Congo, la Diocesi della città, aiutata dalla Caritas Ambrosiana, porta avanti progetti per la promozione sociale ed economica della popolazione del posto. L'ultima bella notizia che viene da Kindu è l'avvenuta realizzazione di 2 pozzi, cui seguirà la costruzione di altri 16 pozzi, per far arrivare l'acqua ai due centri di salute di Omata e di Shoko, ai residenti del posto, che potranno bere acqua potabile e utilizzare la restante acqua a casa loro per usi alimentari e domestici, ad alcuni campi da irrigare, i cui prodotti verranno destinati ad alcuni malati poveri della zona che non sono assistiti dai famigliari e che fanno fatica a trovare di che nutrirsi. A rendere possibile il progetto l'aiuto del geologo David Hosking John, che ha individuato i luoghi più adatti dove scavare per realizzare i pozzi ed ha contribuito a formare il personale della zona che poi ha lavorato concretamente alla realizzazione del progetto. Il progetto, che vedrà il proprio definitivo compimento nei prossimi mesi, ha visto la partecipazione entusiastica della gente del posto, e l'impegno volontario di alcuni abitanti della zona per favorire la realizzazione delle opere previste dal progetto.

giovedì 2 luglio 2009

Acqua potabile per i bambini dell'asilo di Cono Sur, in Perù

Cono Sur è una delle tante città satelliti della più grande città di Huacho, in Perù. A Cono Sur il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e fa fatica ad avere alimentazione adeguata, case, assistenza sanitaria e istruzione. In questa città vivono anche i 163 bambini dai 2 ai 5 anni che frequentano l'asilo parrocchiale Jesùs Divino Maestro. L'asilo inizialmente non aveva l'acqua potabile, che era costretto a prendere in una delle tante cisterne in metallo o mattoni sparse per la città dove la gente va a prendere quell'acqua potabile che gli arriva a casa. Qualcosa per i bambini della scuola dovrebbe migliorare con il progetto portato avanti dal governo locale, che prevede entro un anno di fornire l'asilo di acqua potabile, ma solo per due ore al giorno. Allora l'asilo di Cono Sur, per cercare di garantire l'acqua per tutto il giorno, ha pensato di portare avanti un proprio progetto, appoggiato dalla Caritas, per dotare la struttura di una cisterna di 1.600 litri. Chi volesse conoscere ulteriori dettagli dell'iniziativa o dare un proprio contributo economico, è possibile visitare questa pagina del sito della Caritas.