giovedì 23 febbraio 2012

La drammatica situazione dei tibetani di Lhasa

Nel post di settimana scorsa, ho segnalato i primi, timidi tentativi di democrazia che si stanno facendo in alcuni villaggi della Cina. Ma purtroppo in tante regioni controllate dal governo cinese, si vive ancora sotto una dittatura arrogante e violenta e non è ancora possibile vedere rispettati i propri diritti umani. E' il caso del Tibet. Segnalo questa testimonianza di una persona appena rientrata dal Tibet, dove si racconta di come sono costretti a vivere i tibetani di Lhasa, la capitale del Tibet. Addirittura si paragonano i quartieri di Lhasa dove vivono i tibetani al Ghetto di Varsavia. Il regime cinese ha fatto di tutto per ridurre il numero di tibetani a Lhasa; ora sono solo 200.000 contro 1,2 milioni di cinesi dell'etnia han. Questi tibetani rimasti nella capitale della loro regione, sono costretti a vivere in quartieri controllati dai militari cinesi, circondati da mura e, talvolta, anche da filo spinato, e sono costretti a mostrare i documenti ogni volta che vengono fermati nei tanti posti di blocco presenti in città. Nei quartieri di Lhasa dove vivono, i tibetani sono costretti ad ascoltare le canzoni e le marce militari di regime. 7.000 tibetani che avevano partecipato a gennaio alla cerimonia del Kalachakra insieme al Dalai Lama a Bodh Gaya in India, appena rientrati nel loro paese, sono stati arrestati e portati nei campi di rieducazione ai lavori forzati. Nessuna pietà per i più anziani, che non hanno potuto ricevere neanche le coperte dai loro famigliari, che anzi, in molto casi, sono stati a loro volta arrestati. Quelli che prima erano monasteri dove vivevano monaci e monache tibetane, ora assomigliano più a delle caserme, dove, insieme ai pochi monaci e alle poche monache rimaste, risiedono anche i militari cinesi, che cosi controllano direttamente ciò che avviene dentro le mura dei monasteri. Il Dalai Lama aveva a Lhasa dei piccoli appartamenti; ora sono stati venduti tutti a un uomo d'affari cinese. Molti monaci tibetani sono pronti a digiunare fino alla morte per combattere contro questa situazione. Quanto tempo durerà ancora la repressione dei tibetani nelle loro terre?

giovedì 16 febbraio 2012

Dopo la Russia, la primavera arriverà anche in Cina?

Dopo i paesi arabi e altri paesi del mondo in cui v'è da decenni una dittatura, come la Birmania, anche in Russia la società civile sembra non starci più a sottostare ai ridicoli e dannosi giochi del dittatoriello o dei dittatorielli che guidano il Paese, e centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza ripetutamente, da dicembre a oggi, in diverse città russe, per chiedere democrazia, rispetto delle regole e della dignità del popolo russo. La domanda è: dopo la Russia, anche in Cina vedremo queste manifestazioni pacifiche con cui la gente chiede rispetto per se stessa? In realtà di manifestazioni di questo tipo in Cina ce ne sono già state parecchie negli anni scorsi, ma un po' qui in Occidente non se ne veniva a conoscenza a causa della censura cinese, un po' molto spesso esse venivano represse abbastanza velocemente con metodi violenti. Ma ultimamente dalla Cina sembrano arrivare eventi che prendono una piega leggermente diversa del solito. A Wukan, un villaggio di circa 20.000 abitanti della regione del Guangdong, la gente che ha iniziato a protestare nel settembre scorso contro la vendita dei propri terreni a un'azienda privata, senza risarcimento, da parte delle autorità locali, è riuscita, comunque dopo tentivi di repressione, molti arresti e la morte di un leader della protesta, a imporre la cacciata dei funzionari locali corrotti del Partito Comunista e un'indagine sull'esproprio forzato dei terreni, ed è riuscita a fare elezioni libere nel villaggio, dove 6.000 elettori hanno scelto democraticamente 11 persone che hanno costituito una commissione che dovrebbe portare la comunità di Wukan a nuove elezioni per eleggere liberamente i rappresentanti del nuovo governo locale. Dopo poche settimane, un'altra comunità del Guangdong, Wanggang, è riuscita ad ottenere libere elezioni e un'inchiesta sull'esproprio forzato delle terre dei contadini. Questo vuol dire che piano piano la democrazia inizia ad affermarsi anche in Cina? Forse è presto, molto presto per dirlo, come sostiene Willy Wo-Lap Lam, un esperto di Cina contemporanea, il cui articolo lo si può leggere qui tradotto in italiano, spiegando bene i motivi per cui è difficile che da un giorno all'altro in Cina arrivi la democrazia. Però forse se non un vero e proprio vento, una piccola brezza nuova anche in Cina sta arrivando, come dimostrano alcuni gesti, come la pubblicazione sul social network cinese Sina Weibo, che ha più di 250 milioni di utenti registrati, di un'immagine con cui un giovane cinese fa 30 domande a coloro che si oppongono alla democrazia; ebbene, questo post è stato condiviso più di 9.000 volte e ha avuto più di 2.300 commenti; qui è possibile vedere quell'immagine e leggere la traduzione in inglese delle 30 domande.

giovedì 9 febbraio 2012

La distribuzione della ricchezza in Italia e l'importanza di una tassazione sui grandi patrimoni

Recentemente la Banca d'Italia ha presentato la sua indagine sui bilanci delle famiglie italiane. In questa indagine, oltre ai dati sulla ricchezza netta media posseduta dalle famiglie italiane, ci sono anche dei dati interessanti relativi alla distribuzione della ricchezza nel nostro Paese. Secondo questi dati, emerge che nel 2010 il 10% delle famiglie più ricche d'Italia possedevano il 45,9% della ricchezza totale del nostro Paese, mentre il 50% delle famiglie meno abbienti detenevano una percentuale inferiore al 10% della ricchezza totale. E' una fotografia spietata che certifica le profonde diseguaglianze economiche presenti nel nostro paese. Diseguaglianze che sembrano essere più o meno le stesse da 20 anni a questa parte, se è vero che dal 1990 al 2010 la percentuale della ricchezza posseduta dal 10% delle famiglie italiane più ricche ha oscillato tra il 40% e il 47%, e la percentuale della ricchezza posseduta dal 50% delle famiglie meno abbienti ha oscillato tra l'8% e l'11%; i valori pertanto negli ultimi vent'anni non hanno subito grosse variazioni, anzi, se si prendono i dati dal 2004 al 2010, sembra esserci addirittura un trend negativo in atto; il fatto che questi valori si siano mantenuti per cosi tanto tempo entro una forbice sottile di valori, fa supporre che probabilmente anche l'anno scorso queste percentuali non abbiano subito grosse variazioni. Queste disuguaglianze sono certificate anche dall'indice di Gini, parametro che serve proprio per dare un valore uniforme per tutti i paesi del grado di disuguaglianze in essi presenti. L'indice di Gini è un valore che va da 0 a 1, dove 0 rappresenta il massimo dell'uguaglianza e 1 il massimo della disuguaglianza. L'indagine della Banca d'Italia misura l'indice di Gini sia sulla ricchezza totale posseduta dalle famiglie, sia sui redditi derivanti da lavoro. Ebbene, nel primo caso l'Italia ha un valore di 0,62, valore purtroppo più vicino all'1 che allo 0; ma nel secondo caso, ossia se si prendono solo i redditi derivanti da lavoro questo indice per l'Italia scende a 0,35; cosa vuol dire questo? Che le disuguaglianze economiche nel nostro Paese non risiedono tanto nelle disparità di retribuzione lavorativa, che pure ci sono, quanto nella concentrazione di grandi patrimoni nelle mani di pochi. Per questo la strada della tassazione sui grandi patrimoni probabilmente è quella che potrebbe aiutare veramente a ridurre le diseguaglianze economiche nel nostro Paese.

giovedì 2 febbraio 2012

La campagna contro i caccia F-35

Dal 7 al 25 di febbraio, un po' in tutta Italia, si terranno una serie di iniziative e di manifestazioni per fare pressione su governo e parlamento italiani per bloccare il finanziamento previsto di 15 miliardi di euro per la costruzione dei caccia F-35 (15 miliardi che tra l'altro sembrano diventare 45 se si considerano non solo le spese di costruzione, ma anche quelle di gestione). Si tratterà di una forte campagna di mobilitazione che riguarderà diverse città italiane e che è promossa dalla Rete italiana per il Disarmo, da Sbilanciamoci!, dalla Tavola per la Pace e da altre associazioni e movimenti che hanno a cuore il tema del disarmo. La campagna contro i caccia F-35 sarà parte della campagna più ampia Tagliamo le ali alle armi, partita più di 2 anni fa per chiedere la diminuzione delle spese militari italiane, e arrivata oltre quota 45.000 adesioni. Si è scelto il 7 febbraio come giorno d'inizio della campagna contro i caccia F-35 proprio perché proprio il 7 febbraio del 2007 l’allora sottosegretario alladifesa del governo italiano firmava a Washington il protocollo d'intesa per la partecipazione italiana alla seconda fase del programma F-35. I promotori della campagna hanno già fatto i calcoli di cos'altro di più utile si potrebbe fare con i miliardi tolti agli F-35: 45.000 asili nido pubblici, oltre 200.000 posti di lavoro, o la messa in sicurezza di oltre 13.000 scuole italiane che non rispettano le norme antisismiche e quelle antincendio. Inoltre fanno notare come, contrariamente a quanto sostenuto dall'attuale ministro della difesa del governo italiano, in caso di rinuncia, l'Italia non dovrebbe pagare nessuna penale, e come i 10.000 nuovi posti di lavoro che si prevedeva potesse portare in Italia il progetto degli F-35, in realtà al massimo sarebbero meno di 2.000. La campagna contro gli F-35 si concluderà il 25 febbraio prossimo con la manifestazione delle 100 piazze d'Italia contro i caccia F-35 e con una manifestazione a Roma per la presentazione delle adesioni raccolte con la campagna Tagliamo le ali alle armi.