giovedì 29 ottobre 2009

Giustizia per gli abitanti di Bhopal

Il 2 dicembre 1984, a Bhopal, in India, nell'azienda di pesticidi della Union Carbide (oggi Dow Chemical Company), si verificò un gravissimo incidente che provocò la fuoriuscita di 54 mila tonnellate di isocianato di metile (Mic), un'agente chimico utilizzato nella produzione di pesticidi, e di 12 mila chili di altri reagenti chimici. Nel giro di pochi giorni morirono tra le 7.000 e le 10.000 persone, circa mezzo milione di persone fu esposto ai gas tossici. Nei 20 anni successivi morirono altre 15.000 persone. Si trattava in gran prevalenza di persone povere che vivevano nei centri abitati che circondavano lo stabilimento. Molte famiglie delle vittime, spesso unica fonte di reddito a casa loro, precipitarono nella povertà più assoluta, perdendo il bestiame e, a causa dei problemi di salute, anche il lavoro e la possibilità di lavorare per guadagnare in altro modo i soldi che non arrivavano più. A 4 anni dalla strage il governo indiano raggiunse un accordo extragiudiziale con la Union Carbide per risarcire le vittime dell'incidente con un totale di 470 milioni di dollari. Ma i cittadini di Bhopal e molte associazioni che li hanno sostenuti hanno denunciato due cose fondamentali: che i diritti umani non sono negoziabili e quindi nessun risarcimento economico può ripagare la violazione dei diritti umani che la Union Carbide con quell'incidente provocò alle persone che lavorano e vivevano a Bhopal, e che quel risarcimento economico pattuito era comunque insufficiente. Per questo Amnesty International, insieme ai cittadini di Bhopal e ad altre associazioni, ha lanciato una campagna di sensibilizzazione e di mobilitazione per chiedere al governo indiano di riaprire le indagini sulla strage di Bhopal per assicurare giustizia alle vittime del disastro e per dare loro un risarcimento adeguato, non solo economico, ma anche morale. Nel 2008 il governo indiano si era impegnato a venire incontro ad alcune delle richieste della gente di Bhopal. Una di queste era di istituire una Commissione con pieni poteri sul disastro di Bhopal, ma la costituzione di questa Commissione, secondo il governo indiano, è stato ritardato a causa delle elezioni politiche del 2009. Dal 2 al 6 novembre in Italia saranno presenti alcuni abitanti di Bhopal, che arriveranno in alcune città italiane con un bus per sensibilizzare sulla loro lotta per riavere i diritti negati. Qui è possibile vedere il calendario delle loro iniziative nelle diverse città italiane, mentre qui è possibile sapere chi sono le persone che saranno sul bus. A questa pagina del sito di Amnesty International è possibile leggere e firmare l'appello per ridare giustizia agli abitanti di Bhopal.

giovedì 22 ottobre 2009

Dialogo interreligioso a Doha per una maggiore solidarietà umana

A Doha, in Qatar, è in corso in questi giorni la settima conferenza internazionale sul dialogo interreligioso. Da questo consesso, i 170 delegati cristiani, ebrei e musulmani, lanciano insieme un appello a una maggiore solidarietà umana in un mondo colpito da guerre, povertà, carestia e gravi disastri naturali, e in cui circa 800 milioni di persone soffrono quotidianamente la fame. E' proprio il tema della solidarietà umana che è al centro della conferenza di quest'anno, una solidarietà che deve partire anche da un dialogo più intenso e più aperto da parte delle diverse religioni, fondandosi sulle basi comuni che le uniscono. Perché la solidarietà? Perché c'è la convinzione che proprio la solidarietà umana sia una delle risposte più efficaci ai problemi e ai drammi più gravi che colpiscono l'umanità, dai mutamenti climatici alla fame nel mondo, dal traffico dei minori alle malattie come l'aids e a tutte le altre emergenze. L'incontro è promosso dal Centro internazionale di Doha per il dialogo interreligioso (Dicid) e, tra i risultati del lavoro in corso a Doha, c'è anche la pubblicazione di un documento comune sulla grave situazione umanitaria nella regione dei grandi laghi in Africa, continente dove circa 240 milioni di persone ogni giorno patiscono la fame.

giovedì 15 ottobre 2009

La marcia della pace Perugia-Assisi cammina in Terra Santa

Circa 400 persone provenienti un po' da tutta Italia e anche da alcune zone d'Europa, stanno compiendo in questi giorni una marcia per la pace, quella che tradizionalmente si faceva da Perugia ad Assisi, in Terra Santa. I componenti del gruppo sono partiti da Betlemme il 10 ottobre e arriveranno a Gerusalemme il 17 ottobre prossimo, passando per Hebron, Tel Aviv, Gaza, Nazareth, Nablus e altri territori interessati dalle dispute tra israeliani e palestinesi. Lo scopo di questa marcia, denominata "Time for Responsabilities", cioé "Tempo per le responsabilità", è quello di portare un segno concreto di pace, di speranza, di solidarietà, di responsabilità assunta e condivisa appunto, a 2 popoli che vivono in una terra dove da decenni si continua a morire per un conflitto di cui non si è ancora riusciti a trovare una soluzione e per cui in questi mesi sembra purtroppo ancora più fragile la possibilità di trovarla. Tra i partecipanti alla marcia, vi sono semplici cittaidni, giovani e anziani, studenti e insegnanti, sportivi e artisti, e rappresentanti di oltre 50 istituzioni locali. Non è la pima volta che la marcia per la pace si trasferisce fuori dall'Umbria, dato che nel 1989 essa contribuì a formare una grande catena umana, di circa 30.000 persone, ancora a Gerusalemme, e nel 1991 essa fu fatta a Reggio Calabria per dire no a un'altra guerra, la guerra di mafia. Questo uscire dal suo luogo di nascita sottolinea come la marcia abbia finalità concrete e forti di sensibilizzazioni e di appoggio popolare ai processi di pace che appaiono più urgenti e inderogabili. La marcia per la pace Perugia-Assisi ritornerà in Umbria 16 maggio 2010. Sul sito www.perlapace.it è possibile aggiornarsi sugli sviluppi della marcia di questi giorni in Terra Santa e sulle future iniziative degli organizzatori della marcia.

giovedì 8 ottobre 2009

Sahrawi e Sahara occidentale: dall'ONU ancora un invito a una soluzione pacifica

Nella sede ONU di New York, durante i lavori della Quarta Commissione delle Nazioni Unite su questioni politiche e decolonizzazione, il rappresentante del Messico all'Onu, Claude Heller, a nome del "Gruppo di Rio", istituito da 22 paesi di America Latina e Caraibi, ha ribadito che bisogna accellerare il processo diplomatico tra Sahrawi e governo marocchino, per arrivare presto a una soluzione pacifica che garantisca al popolo dei Sahrawi il suo diritto all'autodeterminazione. Come riportato in un altro post in questo blog, decine di migliaia di Sahrawi ancora oggi sono costretti a vivere in campi profughi situati soprattutto sul territorio algerino, in condizioni precarie e sotto una costante violazione dei propri diritti, primo tra tutti quello all'autodeterminazione. La situazione è bloccata da diversi anni, in quanto il Marocco non vuole perdere il territorio del Sahara Occidentale, ricco di risorse, mentre i Sahrawi chiedono da anni un referendum con cui decidere, attraverso la volontà popolare, se costituire un proprio stato indipendente. Molti osservatori internazionali, pur constatando le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere moltissimi Sahrawi, spingono per una soluzione pacifica e diplomatica, in quanto temono che si possa scatenare un processo di violenza e di frammentazione in quella regione dell'Africa nel caso si impongano decisioni non condivise. Tuttavia c'è la consapevolezza che il Sahara Occidentale forse oggi può essere considerata l’ultima colonia in Africa dopo che il suo processo di decolonizzazione è stato bloccato dal governo marocchino, che ha annunciato per il 6 novembre prossimo l'avvio di una “carovana-dibattito”, denominata "Oui-Autonomie", per presentare attraverso il paese il progetto di autonomia per il Sahara Occidentale come unica via percorribile, contrapposto al referendum sull’autodeterminazione richiesto dai Sahrawi. La situazione quindi purtroppo non sembra sbloccarsi, ma è importante continuare a mantenere i riflettori accesi su questa situazione perché il popolo Sahrawi ha diritto a una soluzione giusta di questa decennale situazione di ingiustizia.

giovedì 1 ottobre 2009

Libertà d'informazione: sabato 3 ottobre tutti in piazza

Il prossimo sabato, 3 ottobre 2009, in molti comuni d'Italia gli italiani che hanno a cuore la libertà d'informazione, di pensiero e di stampa, scenderanno in piazza per manifestazioni e presidi. La manifestazione principale è prevista a Roma, in Piazza del Popolo, a partire dalle 15.30. Ma in molti altri comuni d'Italia, sempre nel pomeriggio di sabato 3 ottobre, altri cittadini che magari non hanno la possibilità di andare a Roma, scenderanno in piazza per manifestare a sostegno di un'informazione libera e pluralista. A Milano, a Torino, a Palermo, a Cagliari, a Savona, e in tanti altri comuni, sono previsti presidi e manifestazioni. La Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), organizzatrice dell'iniziativa, ha aperto un blog dove è possibile vedere tutte le adesioni alla manifestazione e leggere tutte le iniziative che si faranno. Non solo in Italia, dal momento che, per la libertà di informazione nel nostro Paese, sono previste manifestazioni anche a Parigi, Bruxelles e Barcellona. Questo perché anche molti media stranieri sono entrati nel mirino della volontà censoria di certa classe dirigente del nostro Paese. Alla manifestazione di Roma, dove sono previsti per l'occasione centinaia di pullman, hanno aderito diverse testate giornalistiche, nazionali e locali, diverse realtà dell'associazionismo italiano, diversi sindacati e diversi partiti. A favore della libertà d'informazione e di stampa in Italia, oltre alle iniziative di sabato 3 ottobre, da alcune settimane il quotidiano Repubblica sta raccogliendo delle firme intorno a un appello lanciato dai 3 giuristi Franco Cordero, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky. A oggi sono 445.000 le firme raccolte da tutto il mondo.